Massimo Donà è un grande esponente della filosofia contemporanea. Si è formato a Venezia, ed è attualmente docente di teoretica a Milano, nonché musicista e grande appassionato di vino. Da sua ex allieva, non posso non ricordare la sua opera “Filosofia del Vino” (Bompiani, Milano, 2003).
Ripercorre l’atteggiamento dei filosofi nei confronti del vino. Esordisce riprendendo le documentazioni della sua presenza in momenti importanti della storia e dei miti, fino ai tempi delle civiltà orientali, prima che la vera e propria filosofia nascesse, con i greci. Poi ne mostra il significato che ha assunto nel tempo. Da elogio dell’ebbrezza, fra i primi nel Simposio di Platone, come fosse una via privilegiata verso la verità e l’unità, alla condanna dell’abuso con limitazione all’osservazione scientifica dei suoi effetti, in Aristotele. Il vino si è fatto anche simbolo religioso, con il cristianesimo. Ne hanno fatto oggetto d’interesse, poi, Bacone, Descartes, Kant e Kierkegaard.
In ultima analisi, un accento sul simbolo di trasgressione dei valori borghesi che è divenuto nel novecento.
Questo e altro in un’opera, certamente di nicchia, frutto di una mente eccezionale della filosofia italiana, che rintraccia nel vino un profondo significato filosofico. L’oscillazione tra misura e dismisura, la non separabilità di irragionevolezza e ragione, il pensiero che si affaccia oltre il limite di quest’ultima.