Antonio Calò a marzo è stato confermato presidente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino. È al suo terzo mandato alla guida di una delle più antiche e prestigiose realtà dedite alla promozione della cultura vitivinicola in Italia. L’Accademia nasce infatti a Siena nel 1949, con lo scopo di realizzare studi e ricerche sui maggiori problemi concernenti la vite e il vino, organizzare seminari e letture sul perfezionamento della viticoltura e dell’enologia, costituire osservatori, laboratori e commissioni di studio, favorire iniziative quali mostre vitivinicole nazionali e internazionali. Da tre anni organizza assieme al Cuoa il Corso di Alta Formazione in Gestione delle Aziende Vitivinicole.
Uno dei cavalli di battaglia dell’Accademia è la via italiana al vino. Ci spiega che cos’è?
Al mondo è ormai prassi distinguere il vino in due categorie: il vino di vitigno e il vino di territorio. Il vino di vitigno è il cavallo di battaglia di tutti i paesi emergenti nel mondo della viticoltura internazionale come ad esempio il Cile, l’Australia, il Sud Africa. Paesi senza una tradizione in questo campo, che hanno puntato a valorizzare i cosiddetti vitigni internazionali. Dall’altra parte, quella dei vini di territorio, possiamo mettere senza dubbio la Francia, che punta più che altro alla zona di produzione: Champagne, Borgogna, Bordeaux, solo per fare i nomi più famosi.
Noi italiani siamo diversi?
Certo. Noi abbiamo da sempre legato il vitigno alla sua zona di produzione, con un lavoro di sintesi che non ha uguali al mondo. Se io dico Greco è naturale che il primo pensiero nelle persone sia Tufo, così come se io dico Aglianico tutti mi risponderanno Vulture. Questo legame indissolubile fra vitigno e territorio fa dei vini italiani un esempio unico al mondo, un esempio da tutelare e da valorizzare, che dà origine a prodotti originali e irripetibili. È un concetto antico questo, di cui parla già Omero nell’Odissea, ma che oggi è più che mai attuale.
Parlando di tutela non si possono non menzionare le DOC
Certo, le DOC sono lo strumento fondamentale che ci hanno permesso, anche a livello legislativo, di portare nel mondo questa unicità.
Eppure da più parti le DOC vengono criticate, soprattutto per la loro numerosità
È vero: una razionalizzazione di certe zone sarebbe auspicabile. Ma in linea generale credo che la numerosità delle nostre denominazioni sia dovuta proprio al fatto che la scacchiera vitivinicola nel nostro paese è molto variegata.
Qual’è lo scopo che vi prefiggete con questo corso?
Vorremmo riuscire a formare giovani manager che abbiano il coraggio dei propri vini, senza alcuna sudditanza psicologica nei confronti dei cugini francesi. Per troppo tempo abbiamo portato i nostri vini in giro per il mondo pervasi da un senso di inferiorità. È ora di smetterla. Abbiamo un sistema vitivinicolo di cui dobbiamo essere fieri e che ci può permettere di fare grandi cose a livello internazionale. Se i nostri studenti faranno propri questi concetti potremo dire che il nostro corso avrà raggiunto lo scopo.
Questa intervista è stata realizzata nell’ambito di un progetto di comunicazione del corso in Gestione delle Aziende Vitivinicole commissionato dalla Fondazione Cuoa.